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Poesia muta su Gerusalemme liberata

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 Franca Colozzo - 10/12/2017 00:17:00 [ leggi altri commenti di Franca Colozzo » ]

Grazie, Giulia. Ieri mi è venuta una tale rabbia per la decisione di Trump su Gerusalemme, dato il contesto già devastato dalla guerra, che ho buttato giù quei versi riesumandone alcuni iniziali della "Gerusalemme liberata", quasi a voler riecheggiare la ria sorte che è da sempre toccata a Jerusalem.
Ho scritte altre poesie sulla guerra in Siria ("la bambina azzurra" tradotta anche in inglese) e, in genere, su tematiche sociali.
Purtroppo, so che non serve a niente. Forse solo a sfogare il mio personale disappunto per la deriva verso cui sta andando il mondo. Sono preoccupata per le sorti dei giovani, delle mie due figlie e della mia nipotina.
T’invito a leggere anche "Family day" e via dicendo. Leggerò le tue poesie con interesse. Ti saluto e ti auguro una felice domenica.

 Giulia Bellucci - 09/12/2017 23:30:00 [ leggi altri commenti di Giulia Bellucci » ]

E si, Franca, ottima domanda retorica perché la risposta è purtroppo al momento no. È davvero una grande tristezza che l’idea di pace così tanto decantata, rimanga sempre più solo un’idea che si fa sempre più lontana. Composizione molto bella. Complimenti!

 Franca Colozzo - 09/12/2017 21:32:00 [ leggi altri commenti di Franca Colozzo » ]

Bravo, Arcangelo. Hai rispolverato le mie conoscenze sulla "Gerusalemme liberata" e sulle gesta dei paladini, crociati della fede. Il mio messaggio, attraverso la mia poesia che richiama l’inizio del canto I del poema, vuole essere un monito all’umanità. Come mai Jerusalem, casa della pace, è diventata: casa della guerra? Tremenda constatazione che, nell’operato insano di chi detiene il controllo del mondo, trova una risposta iniqua: "Non c’è via per la Pace, né sentiero tracciato, ma solo un vento di guerra scuote la Terra. Perché? La risposta è nell’insana mente umana e nelle sue manie di grandezza attraverso la distruzione e la forza delle armi. La Siria grida a Dio vendetta, ma la sua disperazione rimane inascoltata. Ci sarà mai un riscatto per questa umanità martoriata?

 Arcangelo Galante - 09/12/2017 20:55:00 [ leggi altri commenti di Arcangelo Galante » ]

« Canto l’armi pietose e il capitano
che il gran sepolcro liberò di Cristo
molto operò con il senno e con la mano
molto soffrì nel glorioso acquisto..... »

è il preambolo della Gerusalemme liberata, di Torquato Tasso. Esso viene adoperato dalla pubblicante nelle considerazioni esposte in merito alla tematica affrontata.
Prima però, facciamo un breve ripasso storico, giusto per meglio infarinare con oculatezza la mente del lettore su cosa si sta parlando. Goffredo di Buglione è il protagonista maschile in assoluto del poema di Tasso. Egli è il capitano dell’armata cristiana della Prima crociata contro l’esercito turco che ha occupato Gerusalemme. Torquato Tasso si riferisce alla sua figura già nel proemio, spiegando di narrare, in versi, le gesta del capitano che liberò, dalle mani degli infedeli, il Santo Sepolcro di Gesù. All’inizio del poema, Goffredo, partito per la crociata già dal 1096, non è ancora riuscito a conquistare Gerusalemme. Vi giunge nel 1099 e il cavaliere intrepido, avendo conquistato già Costantinopoli, riceve la visita dell’Arcangelo Gabriele, che lo invita a tenere duro contro i musulmani. Goffredo, allora, riacquistando il coraggio e infondendolo anche nei cuori dei combattenti cristiani, manda una messaggio al reggente di Gerusalemme, Aladino, per avvisarlo del tremendo assalto che lo distruggerà. Argante però, combattente straniero che poi si allea con Aladino, vorrebbe una tregua e si presenta a Goffredo come ambasciatore, proponendo un’alleanza con l’Egitto. Al rifiuto del Capitano, riprende di nuovo la guerra e Argante uccide il cristiano Dudone, cui Goffredo tributa i funerali. Dopo che i demoni dell’inferno scelgono di far allontanare i cristiani dal loro obiettivo con stragi, carestie e persecuzioni spirituali, Goffredo inizia a perdere il ruolo di protagonista, venendo sostituito da Tancredi e da Rinaldo. Ricompare protagonista nella metà del poema, in altri canti, in cui viene addirittura sospettato di tradimento dai suoi commilitoni. Quando Rinaldo, posseduto da un diavolo, uccide un compagno, fugge via dal campo in preda alla vergogna, Goffredo raccoglie le sue armi e l’armatura insanguinata. I soldati credono che sia stato lui ad uccidere Rinaldo. Dopo l’ennesimo assalto a Gerusalemme, Goffredo di Buglione viene gravemente ferito, ma risanato subito, per intervento divino, affinché possa perseguire l’incarico affidatogli da San Michele Arcangelo. Nel frattempo, Rinaldo viene sedotto dalla maga nemica Armida che lo attrae nel suo giardino incantato per fare l’amore. Rinaldo perde ogni attrazione e interesse per la guerra e rimane per molto tempo prigioniero. L’intervento di Ubaldo e Carlo, mandati da Goffredo che aveva ricevuto una visione di Rinaldo prigioniero, liberano il paladino e svergognano la maga. Dopo altre peripezie, Rinaldo si ritira in meditazione per l’errore compiuto e Goffredo, sconfitti i maggiori difensori di Gerusalemme, dichiara liberata la Città Santa dalle mani degli infedeli e adora il Santo Sepolcro.
Dopo questa piccola premessa, il testo appare quasi un pianto su di un tempo fuggito, del quale, solamente malinconici ricordi e un’intensa nostalgia, sembrano colmare il triste animo della poetessa, giacché, proprio a nulla, sembrerebbe valso il tentativo di ripristinare, non tanto l’occupazione di un sacro luogo di preghiera unita, bensì l’avere appreso una fondamentale lezione che il propagarsi di soldati armati, pronti ad uccidere senza remore, alla pace non conducono il territorio, e neppure il mondo spirituale, a Gerusalemme legato. Nessuna guerra è benedetta da Dio. Rispolverando la memoria, affiorano immagini di un immutato trascorso, interrotto dall’arrivo dei fatti della vita, delle cose che vi accadono, pure nel 2017, che incrinano il panorama della città santa, non risparmiando spinosi dispiaceri, dinanzi a coloro che vi assistono per mezzo di esperienze personali e diffusioni dei mass media. Cosicché, tutto crolla, come l’armonia e la speranza di un meraviglioso posto, e allora l’autrice esprime la delusione massiccia, oramai divenuta difficile da cogliere, in un futuro non più roseo. Una composizione velata di uno struggente sentire, ove le metafore, sapientemente adoperate per esprimere tali concetti, sono fortemente calzanti al contenuto, nonché, poeticamente, suggestive. Eppure, proprio l’etimologia del nome doveva essere beneaugurante, perchè Jerusalem, significa pure “casa della pace”!

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